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egli opera a caso. Traccerà sul muro con un carbone i gradini, che gli riescono or troppo larghi or troppo stretti; onde cancella, e poi rifa, ed eccolo di nuovo a cancellare, finché azzecca la misura giusta dopo di aver consumato sul muro le unghie, il carbone e la pazienza.

Del tempo che ha perduto, dell'umiliazione che il suo amor proprio ha subito, potrà risarcirlo il pensiero che egli sa disegnare a meraviglia tutti gli ordini del Vignola?

Il medesimo si dica degli altri mestieri. È perciò naturale che l’artigiano, datosi a frequentare certe scuole che si professano istituite per lui, le deserti in capo a qualche giorno, ristucco di tante bellissime cose; bellissime davvero, ma della cui utilità nè sa nè può rendersi conto. Non capisce, e in verità non so chi possa veramente comprendere, lo spirito di tale insegnamento.

Qual rapporto diretto può esistere tra i fregi, i fiorami, l’ordine ionico o corintio, la facciata di un museo, un candelabro del Rinascimento, e le

    mirabile diligenza, soggiungeva che non riusciva a rendersi ragione dell’utilità di un simile esercizio, ch’ei non si peritava di chiamare addirittura un perditempo. «Preferisco, concludeva, quattro sgorbi ritraenti grossolanamente un disegno dal vero, o un’umile invenzione che esprima un’idea, a cotali inezie che non provano nè approdano a niente.» Parole assennatissime, che concordano perfettamente nella sostanza delle nostre osservazioni.