Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/127

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il figlio del reggimento. 119

rompersi il viso contro la punta di qualche sbarra e a guardarsi i piedi dalle ruote; fossi a destra e a sinistra della via; paracarri e mucchi di pietre ad ogni passo; di tratto in tratto carri rovesciati nel bel mezzo della strada, e sacca aperte ed ogni maniera di provvisioni da bocca sparpagliate; ad ogni po’ di cammino il carretto d’un vivandiere fermo, con suvvi un lumicino e attorno una grossa turba di soldati che impedivano il passo ai sopravvegnenti; di tempo in tempo un qualche maggiore o ufficiale di stato maggiore a cavallo che ti capitava alle spalle mentre men te ’l pensavi, e pover’a te se non eri lesto a scansarti; da tutte le parti gruppi di soldati che ti obbligavano a serpeggiare sulla via come una saetta; ad ogni momento canne di fucili che venivano a un pelo dal cavarti gli occhi e violenti urtoni di addormentati; un polverio denso e continuo che t’empiva gli occhi e la bocca; un incessante vociare di soldati d’artiglieria contro i carrettieri borghesi, che, storditi in mezzo a tanto scompiglio, ingombravano malamente la strada; un gridar rabbioso d’ufficiali che s’affaccendavano invano a rannodare gli sparsi avanzi del proprio pelottone; soldati che salivano e scendevano continuamente dalla strada nei campi e da’ campi sulla strada, precipitando e rotolando giù per le sponde dei fossi; in somma una confusione, un frastuono, uno stordimento da non potersi ridire; una notte d’inferno. Oh! gli è un gran tristo spettacolo quello d’una ritirata!

Gli stenti della giornata, e più ancora le tante e sì varie e sì violente commozioni dell’animo in così breve spazio di tempo, avevano stremate le mie forze; io era stanco morto; adocchiai un carro d’artiglieria dove c’era un posto vuoto, colsi il primo momento in cui si fermò, salii, gli artiglieri mi fecero largo, sedetti, mi appoggiai e presi sonno. Mi svegliai sul far del giorno.