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una marcia d’estate. 5


Largo! largo! — Che c’è? Chi viene?... Un precipitoso scalpitìo di cavali, un denso nuvolo di polvere... è passato. Era un ufficiale di stato maggiore.

Già, eccoli lì quelli che ci fanno correre. — Gli è comodo, da cavallo, gridare avanti a quelli che vanno a piedi! — Se avesse lui lo zaino... Ohe, tu, di’! alza quei piedi; non ce n’è abbastanza della polvere, non è vero? —

Molti si arrestano. Molti, accorciando il passo, lasciano passare innanzi la propria compagnia per fermarsi non visti. La voce dei superiori suona stizzosa, non più autorevole. Gli ordini sono radi radi. — Il comandante del primo pelottone... Dov’è il comandante del primo pelottone? — Ah, si vede che il reggimento è in marcia da cinque ore!

O ch’è questo? S’udì uno squillo di tromba. Un oh! prolungato gli fece eco dall’uno all’altro capo della colonna. Tutti si arrestano, e qui comincia una confusione, un parapiglia, un rovesciarsi di zaini, un cader di fucili, un rotolar di cheppì giù pei fossi della via, un correre a destra e a sinistra... In due minuti il reggimento è sparito. Dentro i fossi, di qua e di là della strada, un serra serra, un gridìo, un disputarsi a spintoni e a colpi di gomito un palmo d’ombra, un palmo d’erba. Pei campi un va e vieni di assetati in traccia d’acqua, che si cercano, si scontrano e si arrestano, come una processione di formiche su per la scorza d’un albero; un chiedere da bere con voce lamentevole, un negare di voci stizzite, o un concedere a stento, uno strapparsi dalle mani i gamellini con rabbia gelosa... A poco a poco il tumulto scema, il movimento diminuisce, la quiete ritorna; tutti, o bene o male, giacciono a terra, tutti riposano, tutti chiudono gli occhi... Ancora un minuto e tutto il reggimento dormirà.