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134 il figlio del reggimento.


VII.

Cinque mesi erano trascorsi dall’ultima volta che l’avevamo veduto. Il mio reggimento era di presidio in una piccola città della Lombardia. Una mattina, uscendo di casa, incontro il mio amico di Padova, che mi si accosta, e con un viso stranamente turbato mi porge una lettera, dicendomi: — Leggi. — E senz’altre parole mi lascia e si allontana. Spiego il foglio, guardo; erano due lettere: l’una scritta da Carluccio, di cui riconobbi, a prima vista, i grossi caratteri; l’altra sottoscritta: — la tua affezionatissima sorella. — Era la sorella del mio amico. La lettera del ragazzo aveva la data di dieci giorni addietro; quella della sorella era del giorno innanzi. Lessi questa per la prima.

Due ore dopo ero in quartiere.

La mia compagnia era divisa in sette o otto gruppi, sparsi pei cameroni, e seduti dinanzi a certi cartelloni dov’erano stampate a caratteri di scatola le lettere dell’alfabeto. Un caporale per ogni gruppo insegnava a leggere indicando le lettere con una bacchetta di fucile. Mi avvicinai, non visto, ad uno di quei gruppi. Due soldati, seduti sull’ultima panca e mezzo nascosti all’occhio del caporale da coloro che avevano davanti, stavan col capo chinato e l’occhio intento sur un foglio di carta, dove l’un di essi andava disegnando non so che cosa con un mozzicone di matita. Quando mi videro, non furono più in tempo a nascondere il foglio, e levatisi in piedi subitamente, me lo porsero e stettero ad aspettare cogli occhi bassi una lavata di capo. Su quella carta v’era un abbozzo informe di una testa, che però, da una tal quale rotondità di