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UN MAZZOLINO DI FIORI.


— Guarito, guarito; non ci ho neanco più il segno; guarda. — Così mi diceva l’anno scorso, sul cadere di febbraio, dopo una quindicina di giorni che non ci eravamo più visti, un ufficiale giovanissimo, che io incontrava in casa di una signora nostra amica, e così dicendomi mi porgeva la mano perch’io la guardassi. La guardai; non c’era proprio traccia di nulla. — E quell’altro? gli chiesi. — Sta meglio. — Chi? Chi sta meglio? Chi è che s’è ammalato? — interruppe la padrona di casa sopraggiungendo. Io e il mio amico ci scambiammo un sorriso. — L’ho da dire? — questi mi chiese. Io gli risposi che se fossi stato in lui l’avrei detta.

— Senta dunque — incominciò l’amico rivolgendosi alla signora. — Tre giorni prima che finisse il carnovale, una sera verso le cinque, io stava davanti a un caffè a vedere il corso delle carrozze, solo, imbroncito, pigiato dalla folla, tutto bianco di farina, maledicendo il momento che m’era venuta l’ispirazione di uscir di casa e di cacciarmi là in mezzo. Di tratto in tratto passava un soldato di cavalleria colla sciabola nuda e faceva cenno alla gente che si tirasse indietro per non ingombrare il corso, e al cenno aggiungeva qualche parola rispettosa e cortese. Davanti a me c’eran quattro o cinque monelli che, appena passato il soldato, si gettavano in mezzo alla strada fra carrozza e carrozza e si