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CARMELA.


I.

Il fatto che sto per raccontare accadde in un’isoletta distante una settantina di miglia dalla Sicilia. Nell’isola v’è un solo paese, che non conta più di duemila abitanti, e in cui, al tempo che seguì il mio avvenimento, si trovavano da trecento a quattrocento condannati a domicilio coatto. Vi era pure, per cagion loro, un distaccamento d’una quarantina di soldati, che si permutava di tre in tre mesi, comandato da un ufficiale subalterno. I soldati vi menavano una vita piacevolissima, specialmente per queste due ragioni, che, tranne la guardia alla caserma e alle prigioni, qualche perlustrazione nell’interno dell’isola e un po’ d’esercizio di tanto in tanto, non avean nulla da fare, e il vino era a quattro soldi la bottiglia, e squisito. Non parlo dell’ufficiale, che si godeva una larghissima libertà, e aveva il gusto di poter dire: — Sono il comandante generale di tutte le forze militari del paese. — Aveva a sua disposizione due guardarmi in qualità d’impiegati all’ufficio del comando di piazza; aveva un bel quartiere gratuito nel centro del paese; passava la mattinata a caccia pei monti, il dopo pranzo in un piccolo gabinetto di lettura