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carmela. 185

chiando fichi d’India, ch’erano, si può dire, l’unico suo alimento.

Aveva anch’essa le sue ore di malinconia in cui non parlava e non rideva con nessuno, nemmeno co’ fanciulli; e soleva stare accovacciata come un cane dinanzi alla porta di casa colla testa ravvolta nel grembiale o il viso coperto col fazzoletto, non si scotendo, non si movendo dalla sua positura per qualunque rumore le si facesse intorno e per quante volte la si chiamasse a nome, anche da sua madre. Ma ciò accadeva assai di rado; era quasi sempre allegra.

Ai soldati, come dissi, non dava retta e non li guardava nemmeno; ma riserbava tutte le sue tenerezze per gli ufficiali. Non le largiva però a tutti nella stessa misura. Dopo ch’essa era tornata dall’ospedale, il distaccamento s’era mutato da sei a otto volte, e di ufficiali ce n’eran venuti d’ogni età, d’ogni aspetto e d’ogni umore. Si notò ch’ella mostrava un’assai più viva simpatia pei più giovani, anche a differenza di pochi anni; e che sapeva benissimo distinguere chi era più bello da chi lo era meno, comunque tutti fossero egualmente il suo «amore» e il suo «tesoro». A un certo luogotenente venuto de’ primi, un uomo sulla quarantina, tutto naso e tutto pancia, con una vociacela stentorea e due occhi da basilisco, essa non avea mai fatto buon viso. Gli avea detto qualche dolce parola la prima volta che s’erano incontrati; ma quegli, infastidito, le avea risposto malamente, accompagnando le parole con un atto minaccioso della mano, in modo da farle intendere ch’era miglior consiglio desistere una volta per sempre. Ed essa avea desistito, non cessando però di tenergli dietro ogni volta che l’incontrasse per via e di passare molte ore della sera seduta appiè della scala di casa sua. Entrasse od uscisse, non gli diceva una pa-