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carmela. 193

gli ardeva dinanzi, diceva: — Come vuoi che la vada a finire? Diventerò pazzo anch’io; ecco come finirà. Mi vergogno di me stesso, vedi; ci son dei momenti in cui mi pare che tutti m’abbiano a ridere alle spalle.

— Ridere di che? — domandava il dottore.

— Di che? — ripetè l’altro per pigliar tempo alla risposta. — Ridere di questo mio.... zelo, di questa mia pietà per quella povera disgraziata, di questi miei esperimenti, di questi tentativi.... inutili.

— Zelo! pietà! Queste non son cose che possano dare argomento a ridere. — E gli fissò gli occhi nel viso, e poi: — Dimmi la verità; tu sei innamorato di Carmela.

— Io? — esclamò vivamente l’ufficiale, e rimase immobile nell’atto di interrogare, facendosi rosso fino alla radice dei capelli.

— Tu, — rispose il dottore. — Dimmi la verità; sii sincero con me; non sono qui il tuo unico amico?

— Amico sì; ma appunto perchè voglio esser sincero non ti debbo dire ciò che non è, — rispose l’altro. Tacque un momento, e poi tirò innanzi a parlare in fretta, ora diventando pallido, ora color di fuoco, balbettando, imbrogliandosi e contraddicendosi, come un fanciullo colto in fallo e obbligato a raccontare la sua monelleria.

— Innamorato, io? E di Carmela? D’una pazza? Ma ti pare, amico mio? Ma come ti è venuta in mente una stranezza di questo genere? Il giorno che ciò fosse... ti do fin d’ora il diritto di riferire al mio colonnello che m’han dato volta le girelle e che bisogna chiudermi co’ matti. Innamorato!... mi fai ridere. Ne sento pietà di quella povera creatura, questo sì; una vivissima e fortissima pietà; non so quel che darei per vederla guarita; farei volentieri per la sua salute qualunque sacrifizio;

godrei della sua guarigione come se fosse una


De Amicis 13