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206 carmela.

tacita tacita, lentamente, senza ridere, senza volgersi indietro, con un viso che non esprimeva nulla, come il distratto che pensa nello stesso tempo a cento cose e a nessuna.

— Che è questo? — pensò l’ufficiale. — Che sia un buon segno?... Oh Dio lo volesse, speriamo! —

Il giorno dopo non uscì di casa e non volle neanco veder Carmela, comunque sapesse ch’ella stava seduta, come sempre, alla porta. Impiegò tutto il dopo pranzo a preparare la prova della sera. Il suo piccolo appartamento si componeva di due stanze e d’una cucina. Tra la camera da letto e la porta d’entrata v’era la stanza più grande, le cui finestre, come quelle dell’altra, guardavano sulla piazza. In questa stanza egli fece apparecchiare per la cena. L’oste suo vicino gli imprestò una gran tavola da mangiare, venne egli stesso a cucinargli in casa que’ pochi piatti che occorrevano, apparecchiò con quel maggior lusso che potè, e portò poi in tavola egli stesso, come avea fatto tre anni prima per quell’altro ufficiale. Verso le nove della sera venne pel primo il dottore. — È qui sotto, — disse, entrando, all’amico; — s’è lamentata con me di non averti ancora veduto. Le ho domandato se si sentiva bene, ed essa, dopo avermi fissato negli occhi, mi rispose: — bastimento a vapore — e non rise. Mah! Chi saprebbe dire che cosa passi per quella testa? Dio solo. Oh, vediamo un po’ questa splendida imbandigione. —

E dato tutti e due uno sguardo alla tavola, cominciarono a concertare fra loro il miglior modo di condurre la rappresentazione di quella commedia, o piuttosto di quel dramma, perchè gli era un dramma, e serio. Quando furon d’accordo: — Che tutti abbiano imparato bene la propria parte? — domandò il dottore; ufficiale rispose che sperava di sì.