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328 l’esercito italiano

restare; bisogna aiutarsi l’un l’altro; alle disgrazie comuni bisogna rimediare in comune; è un farle peggiori il pensare ciascuno solamente per sè e nulla per tutti.... Noi siamo venuti a soccorrervi. — Vogliamo uscire! — gridò minacciosamente la folla, e que’ di dietro incalzando, i primi furon balzati innanzi due o tre passi. — Fatevi indietro, — disse con gran calma il Cangiano, e poi ad alta voce: — Ascoltate il mio consiglio; le donne e i fanciulli rientrino in casa; gli uomini restino per aiutare i soldati a seppellire i morti. — Noi non vogliamo morire! — rispose imperiosamente la moltitudine, e levando un rumor confuso di grida, si rimescolò e ondeggiò un’altra volta come per pigliare lo slancio e gettarsi contro i soldati. — Lo volete? — tuonò allora l’ufficiale, — e sia! — E voltosi indietro gridò: — Pronti! — Il pelottone levò e spianò i fucili in atto di sparare, e la folla, gittando un grido di spavento, disparve in un attimo per le vie laterali. Gli altri dieci soldati si ricongiunsero ai primi.

— Qui ci vuol fermezza e coraggio, — esclamò il Cangiano; — bisogna sotterrar subito i morti; metà di voi vada in campagna e mi conduca qui, a forza, quanti più uomini potrà, e gli altri vengano con me. — Metà del pelottone si diresse a rapidi passi fuor del paese. Gli altri cominciarono a correre di qua e di là, a entrar nelle case, a frugar dappertutto in cerca di zappe, di pale, di carrette, di panche, di assi su cui potere in qualche modo adagiare i morti per trasportarli fuor del paese. In pochi minuti trovaron tutti qualcosa di servibile a quell’uopo, e parte cominciarono a raccogliere i cadaveri, parte, recatisi al cimitero vicino, si misero a scavare le fosse in gran fretta, gli altri presero a sgombrar le strade degli inciampi più incomodi e delle più fetide sozzure.