Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/338

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330 l’esercito italiano

che cominciava a riadunarsi, li stava a guardar da lontano tra sospettoso e meravigliato; la gente sparsa per la campagna si veniva a poco a poco avvicinando al paese per vedere che cosa vi accadesse. I primi arrivati, non vedendo più i cadaveri per le strade, pigliavano animo e s’addentravano nel paese; molti cominciarono spontaneamente a pulir le strade di quanto vi rimaneva d’immondo; altri a rientrar nelle case; alcuni ad affollarsi intorno al Cangiano, guardandolo attoniti, senza far parola, trattenuti ancora da un po’ di diffidenza; ma coll’animo preparato a render grazie e a pregare. E il Cangiano, pur non ristando dal correre di qua e di là per incoraggiare i soldati, si volgeva tratto tratto alla gente che lo seguiva. — Su via, andate ad aiutare que’ poveri giovani che è tanto tempo che faticano per voi; andate a chiamare la gente ch’è fuggita in campagna; facciamo tutti qualche cosa; rimettiamo un po’ d’ordine nel paese; il sindaco tornerà; torneranno anche i signori e vi soccorreranno; torneranno i fornai, verranno dei medici; presto arriveranno soccorsi da Caltanissetta; coraggio, via, lavoriamo tutti; a tutte le sventure c’è rimedio, rimedieremo anche a questa. Siamo venuti qui pel vostro bene, persuadetevene, buona gente; che cosa avete a temere dai soldati? Non siamo forse tutti dello stesso paese, non siamo noi i vostri fratelli, i vostri difensori? — A queste parole segui un mormorìo di approvazione nella folla; qualcuno se ne staccò e corse in aiuto dei soldati; altri andarono verso la campagna; molti si sparsero per le strade; i restanti si fecero attorno all’ufficiale con lamenti e supplicazioni: — Siamo senza pane.... abbiamo fame.... — Lo so, buona gente, lo so; ancora un po’ di pazienza, e il pane arriverà; farò tutto quel che posso per voi; manderò i miei soldati a pigliarvi da mangiare a Sutèra; vi daremo tutto