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418 | partenza e ritorno. |
piangevo se tu tornavi col pensum e te lo facevo io ingegnandomi di imitare i tuoi caratteri, e guardavo, non potendo far altro, e bagnavo di lagrime l’Antologia latina quando tu non riuscivi a tradurre e ti disperavi. E poi ricordavo gli anni che sei stato in collegio, e il tempo che fosti qui così allegro, così felice, e quella sera ch’io sentii quella musica che mi lacerava il cuore e mi rannicchiavo in un angolo della mia camera turandomi le orecchie colle mani.... La paura di perderti da un momento all’altro mi faceva parer quasi un sogno l’aver questo figlio di nome Alberto! Mi parevano scorsi pochi mesi dal primo giorno che t’avevo veduto! E la sera, dopo che tua sorella era andata a dormire, ed io restavo qui, in questa camera, sola, cadevo in ginocchio là, guarda, accanto a quel letto, e pregavo Iddio come e quanto non l’aveva pregato mai pel passato, e gli offrivo cento volte la mia vita per la salvezza della tua, e pronunciavo cento volte il tuo nome, forte, come se tu fossi stato là presente a sentirmi; finchè mi mancavano le forze, mi sentivo un’oppressione qui sul petto, che mi pareva di morire.... Ma tu sei qui, tu sei salvo, sei mio, posso guardarti, parlarti, abbracciarti, stringermi sul seno questa cara testa. Oh mi pare un sogno! mi pare impossibile! Dimmi che sei proprio qui, Alberto; dimmi che mi ascolti, dimmi che mi vedi piangere.... —
Io le caddi davanti in ginocchio.
— Ma figlio, che cosa fai? alzati!
— Ma cara madre che cosa pretendi? Ascoltami. Se ho patito, non ho patito che per te, perchè ti voglio bene. Ero stanco? Avevo sete? Se lo immagina, pensavo, quella povera donna, e soffrivo. Ma questo immenso affetto che ti porto mi dava forza e coraggio. Patisco? dicevo; oh! mia madre ha patito molto di più per me, e con