Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/13

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tangeri 3


ci mise le mani addosso, e cominciò a vociferare in arabo e in spagnuolo, fin che capimmo che le acque essendo basse tanto da non poter approdare, dovevamo traghettare sulle loro spalle; la qual notizia dissipò la paura d’uno svaligiamento e destò il terrore dei pidocchi. Le signore furono portate via sulle seggiole come in trionfo, ed io feci la mia entrata in Affrica a cavallo a un vecchio mulatto, col mento inchiodato sul suo cocuzzolo e le punte dei piedi nel mare.

Il mulatto, arrivato a terra, mi scaricò nelle mani d’un altro facchino arabo, il quale, infilata una porta della città, mi condusse correndo per una viuzza deserta a un albergo vicino, di dove uscii immediatamente con una guida per andare nella strada più frequentata.

La prima cosa che mi colpì, e più fortemente ch’io non possa esprimere, fu l’aspetto della popolazione.

Tutti portano una specie di lunga cappa di lana o di tela bianca, con un grande cappuccio quasi sempre ritto sul capo, cosicchè la città presenta l’aspetto d’un vasto convento di frati domenicani. Di tutto questo popolo incappato, una parte si muove lentamente, gravemente e senza far rumore, come se volesse passare inosservata; gli altri stanno seduti o accovacciati lungo i muri, davanti alle botteghe,