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Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/146

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136 tleta de reissana.


ferravano con una mano. Eran gesti convulsi, atteggiamenti temerari, urli e sguardi di gente inebbriata che rischiasse la vita con una gioia furiosa. Molti slanciavano il cavallo come se si volessero uccidere; volavano, sparivano e non tornavano che lungo tempo dopo colla faccia stravolta e pallida di chi ha visto in faccia la morte. I più dei cavalli grondavano sangue dal ventre; i cavalieri avevano i piedi, le staffe, l’estremità delle cappe macchiate di sangue. Alcune figure, in quella moltitudine, mi rimasero impresse fin dal primo momento. Fra gli altri un giovane con una testa ciclopica, un par di spalle smisurate ed un ventre enorme, che portava un caffettano color di rosa, e gettava delle grida che parevan ruggiti d’un leone ferito; — un ragazzo d’una quindicina d’anni, bello, scapigliato, tutto bianco, che mi passò tre volte dinanzi, gridando: — Dio mio! Dio mio! — ; un vecchio lungo ed ossuto, un viso di malaugurio, che volava cogli occhi socchiusi e un sorriso satanico sulle labbra, come se portasse in groppa la peste; — un nero, tutt’occhi e tutto denti, con una mostruosa cicatrice a traverso la fronte, che passava dibattendosi furiosamente sopra la sella, come per liberarsi dalla stretta d’una mano invisibile. Facendo questo, accompagnavano tutti la marcia della carovana, salivano e scendevano