sopra un bellissimo tappeto di Rabat, su cui ci fu servita la colezione. Il governatore Ben-Auda sedette sopra una stuoia a venti passi da noi, e si fece egli pure portar la colezione dai suoi schiavi. Allora seguì uno scambio curiosissimo di cortesie fra lui e l’Ambasciatore. Il Ben-Auda mandò per il primo ad offrire un vaso di latte; l’Ambasciatore gli fece portare in ricambio una bistecca. Al latte tenne dietro il burro, alla bistecca una frittata, al burro un piatto dolce, alla frittata un scatola di sardine; tutto questo accompagnato da mille gesti freddamente cerimoniosi, e posar delle mani sul petto, e sguardi rivolti al cielo con un’espressione comicissima di voluttà gastronomica — Il dolce, tra parentesi, era una specie di torta fatta di miele, d’ova, di burro e di zucchero, della quale gli arabi sono ghiottissimi, e a cui si riferisce una strana superstizione: che se mentre la donna sta cuocendola, entra per caso un uomo nella stanza, la torta va a male, ed anco potendo, non è più prudente il mangiarne. — E il vino? — domandò uno. — Non gli si manda a offrire del vino? — Qui nacque una discussione. Si assicurava che il governatore Ben-Auda fosse, in segreto, devotissimo alla bottiglia; ma come avrebbe potuto ber vino in presenza dei suoi soldati? Fu deciso di non mandargliene. Mi parve però