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ben-auda | 179 |
nare più vicina, in tono di minaccia, di lamento, di disperazione, e prorompeva di tratto in tratto in grida acutissime e in risa sgangherate, che mettevan freddo nelle vene. Era il Santo che errava intorno all’accampamento, chiamando sopra di noi la maledizione di Dio. La mattina, quando uscimmo dalla tenda, era ancora ritto come uno spettro davanti alla sua cuba solitaria, colorata di rosa dai primi raggi del sole, e continuava a maledirci con voce roca, agitando le braccia spossate al disopra del capo.
Io cercai il cuoco per dimandargli che cosa pensasse di quel personaggio. Ma lo trovai tanto affaccendato, che non ebbi cuore di scherzare. Stava facendo il caffè e aveva intorno una folla impaziente che gli toglieva il respiro. Gli sguatteri gli parlavano arabo, il Ranni siciliano, il calafato napoletano, Hamed spagnuolo, il signor Vincent francese. — Ma se i ’v capisso nen, facie da forca! — gridava lui disperato. — Ma questa è una Babilonia! Ma lasciatemi respirare! Volete vedermi morto? Oh che pais, mi povr’om! Tutti a parlo e nssun a l’è bon a fesse capì! (Tutti parlano e nessuno è buono a farsi capire).
Appena riebbe un po’ di fiato gli accennai il Santo che continuava a urlare, e gli domandai: