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di loro toccava forse ancora i trent’anni, e la gioventù era già passata per tutte, e col passare della gioventù, eran cominciate le fatiche smodate, i trattamenti brutali e il disprezzo che rendono orribile la vecchiaia della donna araba: strumento di piacere fino a vent’anni, bestia da soma fino alla morte.


Il pranzo fu rallegrato da una visita di Ben-el-Abbassi, e la notte funestata da una spaventosa invasione d’insetti.

Già nelle ore calde della giornata, avevo pronosticato male dal brulichìo straordinario che si vedeva fra l’erbe. Le formiche formavano delle lunghissime strisce nere, gli scarabei c’erano a mucchi, le cavallette fitte come le mosche; e con questi un gran numero d’altri insetti, non visti mai negli altri accampamenti, che m’ispiravano pochissima fiducia. Il capitano Di Boccard, intendente di Entomologia, me ne faceva la nomenclatura. C’era, tra gli altri, la cicindela campestris, trabocchetto vivente, che chiude colla grossa testa l’apertura della sua tana, e fa sprofondare, abbassandosi, gl’insetti incauti che vi passano sopra; il Pheropsophus africanus, che slancia dall’ano, contro il nemico che l’insegue, un buffo di vapori corrosivi; la Meloe majalis che strascina a stento, come un’idropica, l’enorme addome gonfio d’erba e d’ova; il Carabus