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zeguta 239


a poco, l’una sull’altra, con una certa regolarità, dal passaggio della gente e degli animali, presentavano l’aspetto d’una vasta gradinata; e giusto in quell’ora, la gradinata era affollata d’arabi seduti a schiere semicircolari, come spettatori d’un anfiteatro vero. Dinanzi, s’apriva in forma di conca una grande valle tutta scompartita dalla varietà delle coltivazioni in quadrati verdi, gialli, bianchi, rossi, violetti, che pareva un immenso scacchiere di pezzi di velluto e di seta. Guardando col cannocchiale, si vedeva, sulle colline più lontane, qua una fila di tende, là una cuba nascosta fra gli aloè, più in là un cammello, più oltre un arabo accovacciato, un armento, un gruppo di donne; una vita sparsa e lenta che faceva sentire anche meglio d’una completa solitudine la profonda pace del luogo. Su tutta questa bellezza, si stendeva un cielo bianco, infocato, abbarbagliante, che costringeva a star col capo basso e cogli occhi socchiusi.

Ma assai più che per il paesaggio, ricorderò perpetuamente l’accampamento di Zeguta per l’esperimento che vi feci del famoso kif. Il kif, per chi non lo sappia, è la foglia d’una specie di canapa, chiamata hascisc, conosciuta in tutto l’Oriente per la sua virtù inebriante. Nel Marocco se ne fa grandissimo