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da zeguta al tagat 249


poi le donne coi bimbi sul dorso, poi i ragazzi, poi i cani a nuoto; le carovane che passano, le frotte di curiosi che accorrono, un tramonto che innamora e la notte più luminosa ch’abbia mai contemplato occhio umano. La mattina all’alba di nuovo in cammino. Si rientra fra le colline, si torna a discendere nella pianura, e s’infila una strada serpeggiante incassata fra due rive, che ci nascondono l’orizzonte. Tutt’a un tratto una voce sonora grida: — Ecco Fez! — Tutti si fermano. Diritto, davanti a noi, lontano parecchie miglia, ai piedi delle montagne, si vede una vasta selva di torri, di minareti e di palme, velata leggermente dalla nebbia. Un allegro: — Ci siamo! — prorompe nello stesso punto da tutte le bocche in italiano, in spagnuolo, in francese, in arabo, in genovese, in siciliano, in napoletano; e al breve silenzio della prima meraviglia, succede una conversazione rumorosa. Ci rimettiamo in cammino e andiamo ad accamparci, per l’ultima volta, ai piedi del monte Tagat sulla riva del Fiume delle perle, a un’ora e mezzo da Fez. Qui per tutta la giornata è un andirivieni e un affaccendamento che ci pare il quartier generale d’un esercito in guerra. Sono messi del Sultano, messi del primo ministro, messi del gran cerimoniere, messi del Governatore di Fez, ufficiali, maggiordomi, ne-