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La mattina uscimmo quattro o cinque insieme, accompagnati da un interprete, e scortati da dieci soldati di fanteria, uno dei quali aveva ancora i bottoni coll’effigie della Regina Vittoria, poichè molte di quelle divise rosse son prese usate a Gibilterra dai soldati dell’esercito inglese. Due ci si misero davanti, due di dietro, tre a sinistra e tre a destra; i primi armati di fucili, gli altri di bastoni e di corde a nodi. Faccie che, quando me ne ricordo, benedico il bastimento che m’ha riportato in Europa.

L’interprete ci domandò che cosa volevamo vedere. — Tutta Fez! — si rispose.

Ci dirigemmo prima verso il centro della città.

Qui dovrei proprio dire: — Chi mi darà la voce e le parole! Come esprimere lo stupore, la meraviglia, la pietà, la tristezza che provai dinanzi a quel grandioso e lugubre spettacolo? Il primo effetto è quello d’una immensa città decrepita, che si vada sfacendo lentamente. Case altissime, le quali paion formate di più case sovrapposte, che si scompongano; scalcinate, screpolate di cima in fondo, puntellate da ogni parte, senz’altre aperture che qualche buco in forma di feritoia o di croce; lunghi tratti di strada fiancheggiati da due muri alti e nudi come muri di fortezza; strade in salita e in discesa, ingombre di calcinacci, di pietre e di rottami d’edifizi, che svol-