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Il Mirab — la nicchia rivolta verso la Mecca — era così splendido, che gl’imam dovettero farlo imbiancare perchè non distraesse i fedeli dalla preghiera. V’era un pulpito d’ebano ornato d’avorio e di gemme. V’erano duecento settanta colonne che formavano sedici navate di ventun arco ciascuna, quindici grandi porte d’entrata per gli uomini e due piccole per le donne, e mille settecento lampadi che nella ventisettesima notte di Ramadan consumavano tre quintali e mezzo d’olio. Tutti particolari che lo storico Kaldun reca con grande esclamazioni di meraviglia e di gioia, soggiungendo che fra le navate, il cortile, le gallerie, i vestiboli e le soglie delle porte, misurato lo spazio palmo per palmo, la moschea potea contenere ventiduemila settecento persone, e che per pavimentare il solo cortile erano stati impiegati cinquantaduemila mattoni. «Gloria ad Allà, signore dei mondi, immensamente misericordioso e re del giorno del giudizio finale!».


Aspettando che il Sultano fissasse il giorno per il ricevimento solenne, si fecero varie passeggiate, in una delle quali ricevetti «un’impressione» affatto nuova per me. Ci avvicinavamo alla Porta bruciata, Beb-el-Maroc, per rientrare in città, quando il vice-console uscì