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tezza di percezione, che sottigliezza di scaltrimenti, che trama intricata di faccende lontanissime da ogni nostra consuetudine, quanti curiosi segreti di reggia, e chi sa che guazzabuglio di rimembranze d’amori, di supplizi, d’intrighi, di vicende strane e tremende! E c’era fors’anche, sotto quel bianco turbante, un concetto della civiltà europea e dello stato del Marocco, non molto diverso dal nostro; tanto che, se avesse potuto esprimere il suo pensiero, avrebbe esclamato: — Eh! cari signori, ne sono più persuaso di voi! — ma era un pensiero imprigionato nel turbante. La stanza, per stanza moresca, era sontuosamente mobiliata, poichè conteneva un piccolo sofà, un tavolino, uno specchio e parecchie seggiole. Le pareti erano decorate di tappeti rossi e verdi, il soffitto dipinto, il pavimento a musaico. Nulla però di straordinario per la casa d’un ministro ricchissimo come Sid-Mussa.

Scambiati i complimenti d’uso, fummo condotti nella sala della mensa, ch’era da un altro lato del giardino.

Sid-Mussa, giusta il suo costume, non venne.

La sala della mensa era, come l’altra, decorata di tappeti rossi e verdi. In un angolo si vedeva un armadio, con su due mazzi di vecchi fiori finti, coperti da una campanella di vetro; e accanto all’armadio uno di quei piccoli specchi