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chiese e dei monasteri che vi fondarono i Portoghesi, e la religione cristiana non v’abbia che una piccola cappella, nascosta in mezzo alle case consolari.

Dopo ciò cominciai a fare per le strade di Tangeri qualche studio preparatorio per il viaggio, notando giorno per giorno le mie osservazioni. Ed eccone alcune, incomplete e slegate, ma scritte sotto l’impressione immediata delle cose, e perciò forse più efficaci d’una descrizione pensata.

Io mi vergogno quando mi passa accanto un bel moro vestito in gala. Paragono il mio cappelluccio al suo enorme turbante di mussolina, la mia misera giacchetta al suo lungo caffettano color di gelsomino o di rosa, l’angustia, insomma, del mio vestiario grigio e nero, all’ampiezza, al candore, alla dignità semplice e gentile del suo, e mi par di far la figura d’un scarabeo accanto a una farfalla. Sto qualche volta lungo tempo a contemplare, dalla finestra della mia camera, un palmo di calzoncino color di sangue e una babuccia color giallo d’oro, che spuntano di dietro a un pilastro, giù nella piazzetta, e ci provo un pia-