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Per tutto quel giorno non si parlò d’altro che del Sultano. Aveva innamorato tutti. L’Ussi si provò cento volte a schizzarne la figura e buttò via la matita disperato. Lo proclamammo tutti il più bello e il più amabile di tutti i Monarchi maomettani; e perchè la proclamazione fosse veramente nazionale, ci piacque di sentire il parere anche del cuoco e dei due marinai.

Il cuoco, al quale tutti gli spettacoli veduti da Tangeri a Fez non avevano strappato mai altro che un sorriso di profonda commiserazione, si mostrò generoso coll’Imperatore.

A l’è un bel omm, — disse, — a i é nen a diie (è un bell’uomo, non c’è che dire); ma bisognerebbe che andasse a viaggiare (parole testuali) dove c’è l’istruzione.

Questo dove, naturalmente, era Torino.

Luigi, il calafato, benchè napoletano, fu più laconico. Domandato che cosa avesse osservato nell’Imperatore, stette un po’ sopra pensiero e rispose sorridendo:

Aggio osservato ch’a stu paese manc’ u Re porta i’ calzette!

Il più comico fu il Ranni. — Che cosa t’è parso del Sultano? — gli domandò il Comandante.

— M’è parso, — rispose francamente e colla maggior serietà, — che avesse paura.