dicimila scudi un lavoro in cui, a metter
molto, l’artista avrà speso cento lire di colori. Un negoziante domandò
al Morteo se l’Ussi dipinge anche i mobili. Ma le più belle toccano al
Biseo, che va ogni mattina in Fez nuova a copiare una moschea. Ci va,
s’intende, scortato da quattro o cinque soldati armati di bastone. Prima
che abbia messo al posto il cavalletto, gli sono intorno trecento
persone, e i soldati sono costretti a urlare e a sbracciarsi come
dannati per tenergli sgombro dinanzi appena tanto spazio ch’egli possa
vedere la moschea. Ben presto però non bastan più nè gli urli nè le
spinte, e allora bisogna che c’entri il bastone. Ogni pennellata, una
legnata; ma si lascian legnare e fanno peggio. Ogni tanto gli s’accosta
un Santo con intenzioni minacciose, e i soldati lo trattengono. V’è pure
qualche moro progressista, che gli s’avvicina in aspetto amichevole,
s’inchina, guarda, approva e s’allontana facendogli degli atti
d’incoraggiamento. La maggior parte però di questi progressisti ammirano
assai più la struttura del cavalletto e della seggiola portatile, che
non la pittura. Un giorno un moro d’aspetto selvaggio gli mostrò il
pugno, e poi, rivolgendosi verso i suoi concittadini, fece un lungo
discorso con voce e gesti da spiritato. Un interprete là presente ci
riferì che incitava il popolo contro il