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el-Dijebar aveva data in isposa una sua figliuola di meravigliosa bellezza, chiamata Rahmana, al figliuolo del pascià di Salè, che si chiamava Sid-Alì. Le feste nuziali erano state celebrate con gran pompa, in presenza dei più ricchi giovani della provincia, accorsi a cavallo, armati, vestiti dei loro più begli abiti, alla cittadella d’El-Mamora; e Sid-Alì doveva condurre la sua sposa a Salè, in casa di suo padre. Il corteo uscì dalla cittadella di notte. Doveva passare per una gola strettissima formata da una catena di collinette boscose e da una catena di dune. Andava innanzi una scorta di trenta cavalieri; dietro a questi, Rahmana sulla groppa d’una mula, in mezzo allo sposo e al fratello; dietro Rahmana, il caid suo padre e una folla di parenti e d’amici. Entrarono nella gola. La notte era serena, lo sposo teneva per mano Rahmana, il vecchio caid si lisciava la barba: tutti erano allegri.

All’improvviso una voce formidabile urlò nel silenzio della notte:

— Arusi ti saluta, o sceicco Sid Mohammed Abd-el Dijebar!

Nello stesso punto, sull’alto d’una collina scintillarono trenta fucili e tuonarono trenta colpi. Cavalli, soldati, parenti, amici, chi stramazza morto, chi vacilla ferito, chi fugge; e