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lava sul viso il pensiero del ritorno, per quel po’ che se ne poteva vedere sotto gli ombrelli, i veli, i fazzoletti, di cui la maggior parte s’erano coperti la testa per ripararsi dal sole ardentissimo e dal polverio soffocante. Ahimè! Questo era il gran cangiamento! Il sole di maggio s’era cangiato in sole di giugno, il termometro segnava quarantadue gradi al momento della partenza, e dinanzi a noi si stendevano duecento miglia di terra affricana. Questo pensiero ci amareggiava non poco la soddisfazione di partire da Fez senza rimorsi.


Per tornare a Tangeri, dovevamo andare a Mechinez; di qui a Laracce; da Laracce, lungo la costa dell’oceano, ad Arzilla, e da Arzilla a Ain-Dalia, dove c’eravamo accampati la prima volta.


Impiegammo tre giorni per andare a Mechinez che è distante da Fez circa cinquanta chilometri.

Il paese non ci presentò, per quel tratto, varietà notevoli da quello che avevamo visto andando a Fez: sempre quei campi d’orzo e di grano, in molti dei quali si cominciava a mietere; quei duar neri, quei vasti spazi coperti di lentischi e di palme nane, quelle grandi ondulazioni di terreno, colline rocciose, piccoli tor-