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le terme di caracalla. 125

Una gran muraglia nera e una gran porta, è tutto quello che mi ricordo della parte esterna. Il primo momento in cui ci si trova davanti a qualche cosa di straordinario e di grande non resta mai distinto nella memoria. La porta s’apre, entriamo in una specie di vestibolo, e udiamo una voce che dice: — Qui v’erano le celle pei signori romani che non volevano bagnarsi in pubblico. — Non si guarda, si va innanzi altri pochi passi, ci siamo.

Guardiamo un pezzo in silenzio.

Siamo in mezzo a un campo cinto da quattro muri altissimi. Nel muro dirimpetto a noi v’è una gran porta per cui si vede un altro campo. In fondo a questo una seconda porta, in dirittura della prima, per cui si vede un altro campo ancora, e via via, fino a un muro lontanissimo che sembra chiudere l’edifizio. Alla nostra sinistra una porta come le prime, e altri campi, e altri muri, e altre porte; e tutto deserto e silenzioso come una città abbandonata. Guardiamo in terra: v’è ancora in un angolo un pezzo di pavimento di mosaico uguale e intatto come fatto ieri. In alcuni punti il terreno si alza, in altri si abbassa. Vicino al muro v’è un tronco di statua. Accanto alla porta alcune nicchie vuote.

— Qui c’era un grandioso porticato, — dice uno. Non ve n’è più traccia, andiamo innanzi. È una solitudine che fa quasi paura. Eccoci nel secondo campo. Muri, porte e mucchi di terra come nel primo, e deserto e silenzio. Oh! eccoci nel centro dell’edifizio. Di qui si capisce qualcosa. Vediamo.

Guardo intorno: che triste e grande spettacolo! Mura altissime, nere, scalcinate, solcate da larghe e profonde screpolature, che serpeggiano dalla sommità al suolo, lasciando in qualche punto travedere l’esterna campagna. Alte e leggere vôlte, somiglianti a cupole di chiese, rotte a mezzo della loro immensa curva, e terminanti in punte, in lingue, in tronchi d’arco pro-