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dell’istruzione delle donne. 147

gli occhi e vidi un gruppo di gente che veniva verso di me, ridendo sgangheratamente. Qualcuno doveva aver raccontato qualche aneddoto. La padrona di casa, premendosi una mano sul petto per non scoppiare dal ridere, mi venne accanto; tutti gli altri intorno. — Questa merita proprio che lei la descriva in uno dei suoi.... temi. — E interrotta tratto tratto dalle risa degli astanti, mi ripetè l’aneddoto. Il quale, da quanto me ne lasciò comprendere l’infelicissimo stato in cui mi trovavo, consisteva, a spremerne il sugo, in uno scambio di cappelli seguito la sera innanzi fra due amici di casa, e non riconosciuto che la sera dopo, nello stesso salotto.

“Lei deve farci una novella sopra,” disse la padrona.

“Una poesia!” disse un altro.

“No, un’ode!” esclamò un terzo.

E lì tutti a ridere.

“Amplificando,” mi disse il padrone di casa, con piglio di confidenza, vedendo ch’io non parevo persuaso, “amplificando, aggiungendo, come sanno far loro, se ne potrebbe fare, non dico mica un poema (e rise), ma una cosettina.... Oh! il signor Lippi!”

Tutti insieme si allontanarono da me per correre intorno a un giovanotto entrato allora, una faccia di scimunito, attillato, lisciato, impomatato, che rispondeva con molto sussiego ai saluti, ai sorrisi e alle dimostrazioni d’allegrezza che gli si facevano intorno. Mi parve di capire che fosse un bravo dilettante di piano.

La padrona lo condusse dinanzi a me, e tutti gli altri dietro.

Me lo nominò, m’inchinai. Nominò me a lui, e soggiunse:

“Ne avrà sentito parlare.”

Egli, in mezzo al silenzio generale, alzò gli occhi alla volta corrugando la fronte, stette un po’ pensando, e poi dondolò gravemente la testa per dire che non mi conosceva.