Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/205

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madrid. 199


cian sotto, lo trascinan per la coda, gli saltano addosso; incredibile l’agilità con cui ne scansano i colpi. Qualche volta il toro, voltandosi all’improvviso, ne arriva qualcuno, lo atterra, lo butta in aria, lo solleva in alto sulle corna; talora ne rovescia nella polvere con un sol colpo una mezza dozzina, e toro ed uomini spariscono in un nuvolo di polvere, e lo spettatore teme per un istante che ne sia stato ammazzato qualcuno. Nemmanco per idea! Gl’intrepidi capeadores s’alzano coll’ossa péste e col viso polveroso, scrollan le spalle, e daccapo. Ma non è neanco questo il più bell’episodio degli spettacoli d’inverno. Qualche volta invece dei toreros affrontano il toro le toreras; donne vestite da danzatrici di corda; faccie, davanti alle quali, non gli angeli, ma Lucifero:

«Farìa dell’ali agli occhi una visiera;»


le picadoras a cavallo a un asino, la espada — quella ch’io vidi era una vecchia sessantenne, chiamata la Martina, asturiana, nota in tutti i circhi di Spagna, — la espada a piedi, collo stocco e la muleta, come il più intrepido matador del sesso forte; tutta la cuadrilla accompagnata da un corteo di chulos con grandi parrucche e grandi gobbe. Per quaranta lire quelle disgraziate rischian la vita! Un toro, il giorno ch’io assistei a quello spettacolo, ruppe un braccio a una banderillera, e a un’altra lacerò le sottane per modo che la lasciò in mezzo al circo con appena tanta roba addosso da coprir quello che dev’essere assolutamente coperto.