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mosse, contan le penne divelte, numerano le ferite; e il gridìo si fa sempre più concitato, e le scommesse più forti: — Cinco duros por el chico! (il piccolo) — Ocho duros por el pardo!Veinte duros por el negro!Va!Va!

A un certo punto, uno dei due galli fa un movimento che tradisce l'inferiorità delle sue forze, e comincia a dar segno di stanchezza. Pur resistendo sempre, le sue beccate si succedon più rade, le sue spronate più fiacche, i suoi salti più bassi; par che comprenda che dovrà morire; non combatte più per uccidere, combatte per non essere ucciso; retrocede, fugge, cade, si rialza, torna a cadere, barcolla come preso dal capogiro. Allora lo spettacolo comincia ad essere orribile. Dinanzi al nemico che cede, il vincitore inferocisce; le sue beccate cadono fitte, rabbiose, spietate negli occhi della vittima colla regolarità dell'ago d'una macchina da cucire; il suo collo s'allunga e scatta col vigore d'una molla, il suo becco afferra le carni, si torce e dilania; poi si figge nella ferita, e vi si dibatte come per cercare le fibre più riposte; poi picchia e ripicchia sul capo, come se volesse aprire il cranio e cavarne il cervello. Non c'è parola che esprima l'orrore di quel picchiare continuo, instancabile, inesorabile. La vittima si dibatte, scappa, s'aggira per la gabbia, e quegli dietro, accanto, addosso, indivisibile come un'ombra, colla testa china su quella del fuggitivo come un confessore, sempre picchiando, punzecchiando, lacerando. Ha qualcosa dell'aguzzino, del boia; par che dica