Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/230

Da Wikisource.
224 madrid.


da un lato Carlo II in ginocchio; più in là monaci, chierici, seminaristi ed altri fedeli. Le figure sono così vive e parlanti, la prospettiva così vera, il colorito, l'ombre, la luce così efficaci, che al primo entrare nella sacrestia, si scambia il quadro con uno specchio che rifletta una funzione religiosa celebrata in quel momento in una sala vicina. Poi l'illusione delle figure sparisce; ma resta quella del fondo del quadro, e si ha proprio bisogno di avvicinarsi fin quasi a toccarlo, per credere che quella non è un'altra sacrestia, ma una tela dipinta. Nei giorni di giubileo questa tela si arrotola, ed appare in mezzo a una piccola cappella un tempietto di bronzo dorato, dentro al quale si vede una magnifica custodia che racchiude l'ostia sacra, tempestata di diecimila tra rubini, diamanti, amatiste, granate, disposti in forma di raggi, che abbarbaglian la vista.

Dalla sacrestia andammo al Panteon. Un custode con una fiaccola accesa mi precedette, scendemmo una lunga scala di granito, giungemmo a una porta sotterranea dove non penetrava raggio di luce. Al di sopra di questa porta si legge la seguente iscrizione in lettere di bronzo dorato:

«Dio Onnipotente e Grande!

«Luogo consacrato dalla pietà della dinastia austriaca alle spoglie mortali dei re cattolici, che stanno aspettando il desiderato giorno sotto l'altar maggiore sacro al Redentore del genere umano. Carlo V, il più illustre dei Cesari, desiderò questo luogo di ultimo riposo per sè e pel suo lignaggio;