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colta. Agli scrittori si prodigano lodi sperticate; si dà di grande poeta a molti, il cui nome non è mai uscito di Spagna; gli epiteti di inarrivabile, di sublime, di meraviglioso, sono moneta corrente che si spende e si riceve senza il menomo dubbio sulla bontà della lega. Si direbbe che la Spagna guarda e giudica ogni sua cosa, piuttosto come un popolo americano, che come un popolo europeo; e che invece dei Pirenei, la separi dall’Europa un oceano, e la congiunga all’America un istmo.

Del resto, quanto son simili a noi! A sentir parlare il popolo di politica, par d’essere in Italia; non si discute, si sentenzia; non si censura, si condanna; ad ogni giudizio basta un argomento, e per foggiare un argomento basta un indizio. Il tal ministro? Un furfante. Il tal altro? Un traditore. Quell’altro tale? un ipocrita; una fitta di ladri tutti; uno ha fatto vendere gli alberi dei giardini d’Aranjuez, l’altro ha portato via dei tesori dall’Escuriale, un terzo ha vuotato le casse dello Stato, un quarto ha venduto l’anima per un sacchetto di dobloni. Negli uomini che hanno avuto mano in tutti i rivolgimenti politici da trent’anni in qua, non hanno più fede; anche nel popolo minuto serpeggia un sentimento di sconforto, del quale s’intende l’espressione ad ogni tratto e in ogni lato: — Pobre España!Desgraciado pais!Desdichados españoles!

Ma l’esacerbamento delle passioni politiche e il furore delle lotte intestine non ha mutato il fondo dell’antico carattere spagnuolo. Solamente quella