Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/295

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cordova. 289


l’Alcazar di Siviglia, quando fui svegliato da un rauco grido:

Puñales?

— Pugnali? Caspita! Per chi? Prima ch’io vedessi chi avea gridato, mi balenò davanti agli occhi una lama lunga ed acuta, e lo sconosciuto ridomandò:

Le gusta?

Bisogna convenire che vi sono dei modi assai più piacevoli di essere svegliati. Io guardai in viso i miei compagni di viaggio con un’espressione di stupore che li fece prorompere tutti insieme in uno scoppio di risa. Allora mi fu detto che ad ogni stazione della strada ferrata c’eran dei venditori di coltelli e di pugnali, che offrivano ai viaggiatori la loro merce come da noi si offrono i giornali e i rinfreschi. Rassicurato della vita, comprai il mio spauracchio: cinque lire, un bel pugnale da tiranno di tragedia, con manico fregiato, iscrizione sulla lama e fodero di velluto ricamato; e lo misi in tasca, pensando che mi avrebbe fatto comodo in Italia per sciogliere questioni cogli Editori. Il venditore n’avrà avuti una cinquantina in una gran fascia rossa che gli stringeva la vita. Altri viaggiatori ne comprarono; le guardie civili complimentarono uno dei miei vicini per la buona scelta fatta; i ragazzi gridarono: — Uno anche a me! — le mamme risposero: — Ve ne compreremo uno più lungo un’altra volta. — Oh beata la Spagna! io esclamai, e pensai con raccapriccio alle nostre barbare leggi che ci vietano l’innocente trastullo d’un po’ di lama affilata.


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