Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/76

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70 saragozza.

Maestà come re di Spagna, eletto dalla volontà nazionale. Maestà, in questa città ho una modesta casa, e ve la offro, e vi prego d’onorarla della vostra presenza." — Con queste semplici parole era salutato il nuovo Re dal più vecchio e più amato e più glorioso dei suoi sudditi. Felice auspicio, a cui mal risposer gli eventi!


Verso mezzanotte andai a un veglione, in un teatro di mezzana grandezza, sul Coso, a poca distanza dalla piazza della Costituzione. Le maschere eran poche e meschinuccie; ma v’era per compenso una folla fittissima, della quale un buon terzo ballavano furiosamente. Fuor che dalla lingua, non mi sarei accorto di assistere ad un veglione d’un teatro di Spagna, piuttosto che a un veglione d’un teatro d’Italia; mi pareva di veder persino le stesse faccie. Poi il solito tramenío, la solita licenza di parole e di mosse, il solito degenerare dal ballo in una ridda clamorosa e sfrenata. Delle cento coppie di ballerini che mi passarono dinanzi, una sola mi rimase impressa nella memoria: un giovanotto d’una ventina d’anni, alto, snello, bianco, con due grand’occhi neri; e una ragazza della stessa età, bruna come un’andalusa; tutti e due belli e alteri, vestiti dell’antico costume aragonese, abbracciati stretti, viso contro viso, come se l’uno volesse respirare l’alito dell’altro, rossi come due viole e sfolgoranti di gioia. Passavano in mezzo alla folla, gettando intorno uno sguardo sdegnoso, e mille occhi li accompa-