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sul tropico del cancro 133


tutti assieme non so che spaurevole mostro di metallo, che occupa con le sue cento membra palesi e celate quasi una terza parte del piroscafo enorme, si rimane immobili dalla maraviglia, umiliati di non comprendere, di sentirsi così piccoli e deboli davanti a quel prodigio di forza. Cresce ancora l’ammirazione quando si penetra nel vulcano che dà vita a ogni cosa, fra quelle sei smisurate caldaie, sei case d’acciaio, divise da quattro strade che s’incrociano, simili a un quartiere chiuso e infocato, dove molti uomini neri e seminudi, dai volti e dagli occhi accesi, ingoiando a ogni tratto delle ondate d’acqua, lavorano senza posa a pascere trentasei bocche roventi, le quali divorano in ventiquattr’ore cento tonnellate di carbone, sotto il soffio di sei colossali trombe a vento, ruggenti come gole di leoni. Par di ritornare alla vita quando, uscendo di là grondanti di sudore, ci ritroviamo davanti alla macchina, dove pure ci pareva, poco innanzi, d’esser quasi sepolti. E non di meno si stenta un pezzo ancora a riavere la mente libera. Il macchinista ha un bello spiegare. Quel movimento vertiginoso di stantuffi, di bilancieri e di turbine, che gl’ingrassatori rasentano con un’apparenza di noncuranza che fa rabbrividire; quel