Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/196

Da Wikisource.
192 sull'oceano


genovese, che riposava supina, lunga, tutta coperta, come una statua di regina, distesa sulla sua tomba di marmo. Ma la vista di tutto quelle canizie misere, di tutte quelle madri senza casa o senza pane, dormenti sopra l’oceano, a migliaia di miglia dalla patria abbandonata e dalla terra promessa, gli teneva lontano dalla mente ogni pensiero sensuale, anche davanti alle molto nudità ostentate o inconsapevoli che gli occorreva di vedere. Egli passava là sotto come un medico in un ospedale, non meno inaccessibile a ogni tentazione di quello che lo fosse quel povero vecchio annaspo di marinaio, che l’accompagnava con una lanterna alla mano. Infelice gobbetto! Per lui, non protetto dalla dignità della carica, il mestiere era ben più duro; tanto più quando, uscito il commissario, egli rimaneva solo nel dormitorio, col secchiolino dell’acqua e il ramaiolo a disposizione di tutte le assetate. — Vien qua, vecio — A mi, omm di persi — Dessédet, pivel! — Acqua! — Ægua! — Eva! — De bev! — Da baver! — In presenza sua, leticavano forte, infischiandosi del regolamento, e ridevan di lui; e quando le redarguiva, lo rimpolpettavano in tutte le regole; qualcuna anche, per disprezzo, le mostrava la faccia a cui si danno gli schiaffi coi piedi; di levata, soprattutto,