Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/223

Da Wikisource.

il passaggio dell’equatore 219


afferrata ai paterazzi, arrampicata sulle sartie, in piedi sulle seggiole, sulle bitte, sulle botti, sui lavatoi; e siccome non restava scoperto neanche un palmo di tavolato, ed anche i contorni del bastimento erari nascosti dalle persone, così tutta quella folla pareva sospesa per aria, e che volasse lenta sopra il mare, come uno sciame di spettri. Nel grande silenzio ammirativo s’alzavano voci solitarie di burloni: — Ooooh Baciccia!Dagh on tajCodia, monsù Tasca! — Poi tutti zitti, e si risentiva distinto il fischio dei fuochi, e il rumor cadenzato della macchina. Delle pioggie di fuoco cadevano sul mar quieto e oleoso, non increspato da una bava di vento, e i razzi scoppiavano e svanivano nell'immenso cielo silenzioso, quasi senza far rumore, come nel vuoto. Ad ogni sprazzo di luce m’appariva nella folla qualche viso conosciuto: ora la faccia superba della Bolognese, che s’alzava dalla cintola in su sopra le sue vicine; ora il viso estatico dello scrivanello; ora la negra dei brasiliani, stretta in un cerchio di visi accesi; lì sotto la faccetta rotonda della contadina di Capracotta, vicino al macello la faccia impassibile del frate, in fondo al castello di prua la maschera misteriosa del saltimbanco. E si vedevano qua e là delle coppie strettissime,