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226 sull'oceano

al petto e fin nel taccuino degli appunti. C’erano due giovanotti bruni, molto eleganti e poco significanti, i quali non parevano preoccupati d’altro che della biancheria finissima e candidissima di cui facevano sfoggio, e delle loro folte capigliature artisticamente architettate, nere, ma di quel fortissimo nero andaluso-argentino, che è un vero oltraggio alle teste brizzolate. Il più originale di tutti era il quinto, un pezzo d’uomo sulla trentina, di riso audace e di voce aspra, un tipo di domatore di cavalli selvatici, proprietario d’una vasta estancia, della provincia di Buenos Ayres, in cui passava due anni su tre, in mezzo a trentamila vacche e a ventimila pecore, menando la vita del gaucho; della quale s’andava poi a rifare a Parigi, dove divorava volta per volta un armento di mille teste. Un tratto comune a tutti e cinque era la finezza della bocca e la piccolezza del capo, che tutti portavano alto, sempre; ma l'abitudine ereditaria, che altri osserva negli argentini, di appoggiarsi camminando più sulle articolazioni delle dita che sul tallone del piede, dico la verità, non l’osservai. Studiosi dell’eleganza, e in particolar modo della lindura della persona, tutti e cinque, vistosamente. E cortesi; ma d’una cortesia più ridente, per dir così, di quella degli spagnuoli,