Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/271

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l'oceano azzurro 267

di sette brune.) Poi, raccoltosi un momento, o alzando l’indice, soggiunse: — Se e’ porcaie pesassan saiescimo zà a fondo da sezze giorni (Se le porcherie pesassero, saremmo già a fondo da sedici giorni.) E aoa còse gh’è? (E ora cosa c’è?)

Erano i ragazzi di prua che battevan le mani a una manovra con cui s’alzavano le vele di gabbia, di parochetto e di contromezzana, in modo che il piroscafo si ritrovava con tutte le sue grandi ali spiegate, e filava sul mare azzurro nella piena maestà della sua bellezza. Nello stesso momento, come per fargli festa, uno stormo d’uccelli acquatici del Brasile venne a far tre giri intorno agli alberetti delle gabbie, e poi sparve. Non m’era mai parso così bello il Galileo. Largo e poderoso; ma le curve agili dei suoi fianchi e la grande lunghezza gli davan la grazia d’una gondola smisurata. I suoi alberi altissimi, congiunti come da una trama di cordami, parevano fusti di gigantesche palme diramate, legate da liane senza foglie, e le ampie bocche purpuree delle trombe a vento rendevan l’immagine di colossali calici di fiori, attirati dall’America invece che dal sole. I fianchi neri di catrame e severi, la coperta irta di ordigni di ferro e sorvolata da nuvoli di fumo