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La giornata del diavolo 325

quasi tutti; eppure non si sentiva nessuno, come se quelle cento pareti di legno non racchiudessero che cadaveri. Non si udiva che la nenia lamentevole della negra, come un canto solitario per le vie d’una necropoli. E mi pareva che mi pesassero su l’anima non soltanto i miei, ma tutti i tedi, tutti i ricordi amari e gli affetti lacerati e i tristi presentimenti ch’crano ammucchiati su all’aria aperta, tra quei mille e seicento figliuoli d’Italia, che andavano a cercare un’altra madre di là dall’oceano. Ed era inutile che cercassi di ragionarmi, analizzando il mio stato d’animo, per dimostrare a me stesso che non c’era un perchè logico del veder tutto fosco quel giorno, come gli altri, mentre pel solito, diversamente dagli altri, vedevo ogni cosa in un buon aspetto. I pensieri foschi, tenuti per un momento con uno sforzo fuor della mente, vi rientravano, appena cessato quello, come un’onda di torrente, e ne invadevano tutti i recessi. E non so quanto tempo stetti su questi pensieri; poi m’addormentai. Ma ebbi un sogno orribile: casa mia di notte, — un via vai di lumi e di facce che non conoscevo, — un rantolo in una camera di cui non mi riusciva di trovar la porta, — e poi mutata la scena in un lampo, uno spaventevole grido: — Si salvi