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tatto di quella stoffa facesse balenare agli occhi gravi del quichua la visione delle mille e cinquecento sacerdotesse del Sole, ma di quelle del tempo della corruzione. E sull’ultimo sedile verso poppa c’era la signorina di Mestre, più pallida degli altri giorni, fuorché alle sommità delle guance, che le ardevano; la quale parlava con una specie di eccitazione di febbricitante, ma con un sorriso d’una dolcezza inesprimibile, al garibaldino, seduto accanto a lei, col capo poderoso e bello un po’ chino, nell’atto d’un uomo triste, intento a una musica che gli rammenti dei tempi felici, ma non gli ridesti più alcuna illusione. Gli altri passeggiavano, col passo vivo e irregolare della gente allegra.

L’orizzonte era velato da una nebbia leggera, e c’era una certa gravezza nell’aria, che faceva sentire tratto tratto il bisogno di tirare un lungo respiro. Ma la temperatura era gradevole in confronto dei giorni passati. Gli argentini dicevano di sentir già los aires della patria. Dovevamo trovarci presso a poco alla latitudine di Santa Caterina del Brasile.