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Sul rio de la Plata 415


scapparon giù per la scala. Allora egli apostrofò l’avvocato, che stava per scendere, con un involto rotondo sotto braccio, che doveva essere un salvavite: — Avvocato, ora sarà tranquillo. — Ma quegli, lanciando uno sguardo obliquo sul fiume, brontolò: — Non si sa mai. Alle volte questo sporco rio è anche più infame dell’oceano atlantico... — E cominciò a scendere con grandi precauzioni, non rispondendo ai saluti di nessuno. Discesero la signora bionda e suo marito, i miei vicini di camerino col figliuolo, la “domatrice„, la pianista e sua madre, i francesi, il prete, i passeggieri di seconda, ed altri. Quando tutti furon giù, seduti sulla piccola poppa, l’agente mi diede una gomitata in un fianco, esclamando: — Eureka! — e mi fece un cenno col viso. Guardai a destra, sul cassero del Galileo, e vidi affacciato al parapetto, in un atteggiamento studiato di amante pensieroso e afflitto, Ruy Blas, che teneva lo sguardo fisso sul vaporino, e seguendo la direzione del suo sguardo, andai a posare il mio sul viso della piccola pianista, impassibile come sempre ma con gli occhi rivolti a lui, con una fissità acuta e tenace, che non lasciava dubbio, che prometteva per la prima occasione una di quelle lettere matte e di quelle recisioni temerarie in