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deva d’ottenerlo. All’occasione dava delle lezioni memorabili. In uno degli ultimi viaggi, avendo scoperto una sera che due passeggieri di diverso sesso, non legati nè dal codice nè dalla chiesa, erano addormentati in un camerino di coperta, egli aveva fatto inchiodare una grand’asse a traverso all’uscio, e ce l’aveva lasciata fino a che i due, il dì seguente, morsi dalla fame, dopo aver picchiato furiosamente, erano stati costretti a uscire coram populo, mézi morti da-a vergéugna. Ma aveva rischiato d‘ammalare dalla rabbia nell’ultima traversata, portando da Buenos Ayres a Genova un’intera compagnia lirica, e un corpo di ballo di cento e venti gambe; a tener a segno le quali non ci sarebbero stati sul piroscafo abbastanza assi nè chiodi; e tutta la sua eloquenza minacciosa nella lingua del sci non aveva impedito che il Galileo si convertisse in un paradiso maomettano, filante dodici miglia all’ora. In condizioni ordinarie, peraltro, quando non era soverchiato dal numero e dall’audacia del nemico, era rigoroso al punto da non tollerare nemmeno un corteggiamento discreto. Ma si vantava di far stare tutti a segno senza mancare menomamente alle leggi della cortesia, di saper dir tutto a tutti senza offendere. Quando un passeggiere si stringeva troppo