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Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/92

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74 capitolo v.


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Il giorno 8 maggio 1853 morì, dopo due anni dal suo ritorno, il padre Giovanni Roothaan, preposito generale della compagnia di Gesù. Nato ad Amsterdam nel 1785, entrò nella compagnia il 18 giugno 1804, e fu eletto generale il 9 luglio 1825, succedendo al padre Fortis. Resse l’ordine per 24 anni con fortezza d’animo ed una rettitudine di coscienza, che dovettero riconoscere anche i malevoli. Nelle tempeste del ’48 egli raccomandò ai suoi freddezza e pazienza, e ingiunse loro di ubbidire ai governi costituiti, anche ai rivoluzionari. Lasciò che i padri, cacciati dai conventi, andassero dove loro meglio gradisse; e fu così che il padre Secchi andò negli Stati Uniti e il padre De Vico si rifugiò anch’egli all’estero, portando seco l’obiettivo del grande telescopio dell’osservatorio romano. Memore dell’esistenza di quel grande strumento, Mattia Montecchi mandò durante l’assedio a prenderlo al Collegio romano per osservare l’accampamento francese a villa Santucci, ma non vi fu trovato che un cilindro inutile. Il padre Roothaan ebbe la grande fiducia del re Carlo Felice di Sardegna, quando nel 1823 vi andò rettore del collegio delle provincie, riaperto con indirizzo più ortodosso da quel Re, che ne volle affidata la direzione ai padri della compagnia di Gesù. Il Roothaan seppe così bene cattivarsi l’animo dell’aristocrazia torinese e della corte, che il Re e il principe di Carignano, Carlo Alberto, non muovevano passo senza il suo consiglio; e quando, pochi anni dopo, divenne generale, fu nel Piemonte, e soprattutto nel patriziato e nella corte, che esercitò la sua maggiore influenza.

Al tatto del padre Roothaan si deve, se nel 1848, mentre l’onda rivoluzionaria incedeva al grido di «abbasso i gesuiti», i danni subiti dalla compagnia in Italia e fuori fossero relativamente limitati. Di essa erano state alquanto gonfiate dal Gioberti le magagne e gli eccessi; ma a temperare la profonda impressione del Gesuita moderno non valsero le polemiche confutazioni, succedutesi fin dopo il 1848, del Curci, del padre Taparelli, fratello di Massimo e Roberto d’Azeglio, e del padre Pellico, fratello di Silvio. E se ciò nonostante i padri ripopola-