Pagina:De Joinville, Galvani - La sesta crociata - 1872.djvu/142

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78 la sesta crociata.

d’Aleppo, e nell’altra le armi del Soldanato di Babilonia. Suo nome era Sceceduno, com’io v’ho detto, figliuolo del Seicco, che tanto vale a dire in lor lingua, come nella nostra figliuolo del Veglio: ed un tal nome tenevano essi tra loro a gran cosa, perciò che sono le genti che più onorino i vecchi ed antichi, solo ch’essi si sieno guardati in giovinezza d’alcun malvagio rimproccio. Ora codesto Capitano, così come fu rapportato al Re per ispie, si vantò ch’e’ mangerebbe nella tenda del Re di Francia innanzi il giorno di S. Sebastiano ch’era prossimano a venire1.

Or quando il Re ciò intese, egli disse che se ne prenderebbe ben guardia, e serrò sua oste e ne dette l’intesa alle sue genti d’arme. Donde il Conte d’ Artese suo fratello fu commesso a guardare i belfredi e gl’ingegni; il Re ed il Conte d’Angiò, che dipoi fu Re di Sicilia, furo stabiliti a guardare il campo verso Babilonia, e il Conte di Poitieri ed io Siniscalco di Sciampagna a guardare il campo di verso Damiata. Ora avvenne tantosto, che quel Capitano de’ Turchi, avanti nominato, fece passare sue genti nell’isola che era tra lo fiume di Damiata e lo fiume di Rosetta, ove erano i nostri alloggiamenti, e fece arringare sue battaglie da l’un de’ fiumi sino all’altro. Il Conte d’Angiò, ch’era in quella parte, corse sui detti Turchi e ne isconfisse tanti da metterli in fuga, e molti ne furo annegati in ciascuno de’ detti fiumi. Ma tuttavia, egli ne dimorò gran parte, a chi nissuna cavalleria osava

  1. Il 20 Gennaio 1250.