Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/130

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invento tutto per il gusto d’inventare, ho portato con me tutte le pezze giustificative. Quando hanno saputo che Cesarino era morto e che io, suo fratello, m’incarico un poco delle faccende, i creditori si son mossi tutti come le mosche, se la pigliano con me, pretendono che io abbia a pagare.... Io? con che cosa pagare? e che c’entro io?

Demetrio, tratto il suo fascio di cartacce, sciolse lo spago che le legava insieme, e cominciò a spiegarle sulle ginocchia.

— Arabella! — chiamò la voce chiara e argentina di Beatrice.

— Che cosa vuoi, mamma? — dimandò la bambina, che stava fuori in sentinella.

— Portami il caffè.

Demetrio frugò un pezzo nella tasca di sotto e trasse l’astuccio degli occhiali. Ne uscì un paio con grosso cerchio d’osso ch’egli appoggiò alla punta del suo naso color patata, assicurando le grosse spranghette tra l’orecchio e il ciuffo rossiccio dei capelli. Inarcò le sopracciglia, e contraendo la pelle della bocca, come se provasse della nausea, cominciò a leggere sopra una pagina:

— Ecco, Angelo Boffi, orefice e bigiottiere. Per braccialetto d’oro con zaffiro, lire 150....

— È un braccialetto che Cesarino ha voluto regalarmi fin dal Natale dell’anno passato.

— Fu pagato?