Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/377

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In Carrobio non s’era ancora lasciato vedere. Perchè affrettarsi a correre dove non c’era più bisogno di lui? non era forse saldato ogni conto di dare ed avere?

In quanto all’impiego, sedersi qua o là per lui adesso era cosa indifferente. Il Caramella lo trasse in un cantuccio e gli pagò la solita mesata, lire 122 e centesimi, in un biglietto da cento e in altre poche lire di carta sudicia, ch’egli prese e cacciò in tasca come se si trattasse di un fazzoletto da naso. Passò senza parlare, ma neppure senza impazienza, nella stanza d’ufficio, dove aveva fabbricato i suoi magnifici sogni e fissò un momento gli occhi sulla poltrona lucida e vuota del cavaliere, alla quale aveva predicato tante sciocchezze.... E quasi gli venne da ridere. Andò al suo tavolo e si preparava ad aprire i cassetti per fare il suo piccolo San Michele, quando vide entrare il Quintina in compagnia del Bianconi e di un certo Caravaggio, archivista, con una lista in mano e una penna sull’orecchio.

— Oh! ecco il signor Pianelli — disse il Quintina con la sua voce di clarinetto. — Lei non può mancare nella nostra lista.

— Che lista? — chiese Demetrio freddamente, mentre cercava d’infilare la chiavetta nella serratura.

— Si tratta di offrire un modesto pranzo