Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/379

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no di voce flebile e pietoso, in cui si sentiva tutta la grandezza del sacrificio, che era di sette lire a testa.

— Perchè.... perchè io son diverso dagli altri.

— Questa sì che è bella! — proruppe con una risata il Quintina, facendo scorrere la cannuccia dietro l’orecchio, come se grattasse per gusto. — Vorrei sapere che cosa ha di diverso da noi il signor Pianelli.

— Della mia coscienza sono giudice io....

— Che cosa c’entra la coscienza in questa faccenda? — soggiunse il Quintina, compiendo un giro della stanza con le mani nelle tasche dei calzoni, ch’egli tirava sui fianchi, mandando fuori abbasso due scarpette da signorina. — Non siamo venuti per sporcar d’inchiostro la coscienza di nessuno; che bell’originale!

Demetrio gettò sul pettegolo un’occhiata di ghiaccio, mosse due dita in aria come se stesse per dire qualche cosa e tornò ad infilare la chiavetta nel buco.

— Non si tratta di una grande somma! — provò a dire l’archivista, un giovanotto piccolo, smorto, con poche setole di barba e con due occhiali fini e lucenti sugli occhi.

— Se non puoi pagare adesso, metti almeno la firma, tanto che si possa dire che ci