Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/541

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Passò anche quel mite autunno. La terra si coprì di foglie morte, e, dietro la siepe degli alberi nudi, la guglia sottile del duomo di Milano riapparve nell’aria pura degli ultimi giorni di novembre. Poi cominciarono le nebbie, che, come un mare di vapore, nascondono i prati. Seguirono lunghi giorni piovosi. Finalmente la campagna è tutta coperta di neve. Dal bianco strato e dall’orlo delle fosse, che mostrano la nera crosta della terra, i mozziconi delle piante capitozzate sporgono le braccia corte e intirizzite a un roseo sole di gennaio. Il cielo è bianco e netto, ma tira dai prati un’arietta sottile, fresca, che frusta le orecchie dei cavalli e passa i coturni di Bassano, che dalle Cascine va colla carrozza a prendere la sposa a Chiaravalle. Il gran giorno è arrivato.

Il cavallantino è in gran tenuta: cilindro di pelle, nappina nuova fiammante, guanti di lana, fazzoletto bianco al collo, con due cocche svolazzanti, di cui si serve, di tanto in tanto, per asciugarsi i baffi dalla brina.

Con lui viene il sor Isidoro Chiesa, il padre della sposa, l’uomo libero per eccellenza,